di Vincenzo Tortorelli, Segretario Generale UIL

Questo è un Ferragosto di attesa ma anche di attraversamento delle paure, di conforto e ristoro per le famiglie, per le persone che lavorano e per chi è ai margini.

I mesi terribili che abbiamo attraversato hanno rafforzato la consapevolezza che per uscire dalla crisi occorre un cambio di passo, collettivo, verso una nuova dimensione di socialità e di comunità, con una robusta manovra di protezione sociale e con scelte chiare per un nuovo sviluppo: una messa alla prova, per tutti, e un esame di coscienza per una ripresa di senso capace di andare oltre lo sconcerto della Pandemia. Anche per il sindacato dei lavori, della prossimità, della mutualità e dei nuovi bisogni, compartecipe di visioni e destini di uno sviluppo, affatto scontato.

Nel 2020 le cose stanno cambiando drasticamente. Per il mercato del lavoro il 2020 sarà un anno nero con una perdita consistente di occupati di 8mila unità e ad essere colpiti saranno i giovani, i contratti precari, i redditi più bassi, le microimprese con un solo addetto, gli operatori delle varie forme della gig-economy.

È per questo che adesso (e non dopo), in questi tempi straordinari, è necessario intervenire con azioni straordinarie per affrontare con forza i nodi strutturali che della nostra regione. C’è un buon terzo della popolazione attiva lucana da transitare e ritrovare rinvigorito nella fase di ripartenza e rilancio.

Serve una misura ponte, emergenziale, di sostegno economico alle attività e alle famiglie. Come si è fatto in altre regioni, è utile la costituzione di un Fondo di investimenti sociali con le risorse dei Fondi UE riprogrammati e con un prestito-contribuzione straordinaria indotta dai player energetici.

Servono, poi, azioni lungimiranti per lo sviluppo con un concreto Piano Strategico regionale, compartecipato e condiviso da larghi starti della società lucana.

In autunno l’aspettativa è di un cambio sostanziale di paradigma e la sfida è tutta politica: spetta al Governo regionale formulare una proposta compiuta di pianificazione del futuro della regione che, ad oggi, tarda ad arrivare.

C’è da fare  un nuovo statuto materiale della regione!

È assurdo che a livello nazionale il Governo proceda, con il coinvolgimento pieno dei sindacati, nel complicato cammino di scelte e provvedimenti per la ripresa ed in Basilicata invece ci si chiude e si riduce al minimo il confronto.

Si apra una sessione intensa e decisionale per il futuro della Basilicata, senza consultazioni rituali, con al centro un documento di posizione ispirato e concreto, definito per assi strategici e obiettivi di fondo tracciati e declinati con metodo, cronologia, mobilitazione di investimenti e con la previsione di risultati attesi per reddito e occupazione.

Senza questa svolta netta, capace di incidere nella vita delle comunità, sarà ben difficile affrontare la crisi di autunno, a rischio è la tenuta sociale e il conflitto, diversamente, sarà inevitabile, con il sindacato a rappresentarne le ragioni profonde.

Si è ancora in tempo. Si metta perciò in gioco ciò che è stato finora e si scommetta sul futuro. Si provino nuove strade: ci si chieda cosa manca ai nostri centri urbani, cosa manca di moderno, di attuale, di qualitativo e quanto crescono il disagio e le diseguaglianze. Si diano delle risposte opportune!

Serve un modello di sviluppo più sociale che economico: conta il tema della sostenibilità ambientale,  del welfare e delle generazioni, delle infrastrutture; un patto tra una forte comunità di cura, un nuovo sistema di protezione sociale e sanitario; il mondo dell’impresa e del lavoro; il progetto di un vero grande polo produttivo lucano di mezzo fra i distretti metropolitani campano e pugliese, irrobustito dal biofarmaceutico, dall’ICT, dalla componentistica; nuove formule combinatorie tra risorsa idrica, l’ambiente appenninico e il bene paesaggio senza del quale non si può pensare di bloccare il dissesto idrogeologico dei luoghi legati ai decorsi fluviali. È l’idea del contratto di fiume che si sperimenta ora tra le Province ofantine.

Centrale è il processo di transizione energetica della Val d’Agri, necessariamente graduale e diffuso nel tempo, minacciato da arrangiamenti normativi dell’ultima ora. L’emendamento al Decreto semplificazione è una forte turbativa sia per l’assetto occupazionale locale,  già colpito dai  frequenti cambi di appalto, e sia per la continuità delle attività estrattive in essere e sottoposte a moratoria. Si alimenti invece un’intelligente visione compartecipata e contrattata attraverso i tavoli della trasparenza e di sito con i sindacati confederali e categoriali.

L’insieme di queste progettualità deve calare dentro le previsioni del Piano nazionale delle riforme e del Decreto rilancio. Spinga la regione in questa direzione e dica il Governo  quali  sono i cantieri, dove si aprono subito, con il presidio di missioni di sviluppo sul campo, strutture speciali come condensatori e garanti di una rapida e coordinata attuazione  (es. comparto  scuola).

La Regione attrezzi finalmente una linea di “strutture speciali di scopo”, dotate di elevata autonomia manageriale, capaci di realizzare progetti da tempo ritenuti strategici.

Una struttura speciale del lavoro, un’Ageforma rinnovata e delineata sulle politiche giovanili e della ricollocazione; un’altra digitale, architettura indispensabile per innervare la rete; una agroforestale, per un valore plurimo e produttivo dei beni, senza l’impaccio delle ristrette formule consortili.

Ecco alcune condizioni per farcela.

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