E’ un tempo di paura, di incertezza, di un’economia barcollante che cavalca l’onda del Covid-19 e di un “carro nero”
Quello dell’Italia, in cui il rispetto dei protocolli INAIL sulla sicurezza nei luoghi di lavoro rimane l’ultima opzione nella lista delle “cose da fare”. Colpa spesso dei datori di lavoro, che pongono al centro della loro attività la massimizzazione dei fatturati e dei risultati aziendali, sfruttando con arroganza la forza lavoro, a scapito di lavoratrici e lavoratori costretti ad operare in condizioni assurde e che lottano ogni giorno sul “campo di battaglia” senza adeguati dispositivi di protezione individuale. Dalla sanità, all’industria, all’artigianato, tutti sullo stesso campo. Colpa anche della Politica che non attua una procedura di controlli stringenti verso le imprese che non applicano i protocolli. La Basilicata in particolare, il suo Esecutivo regionale, sul tema della sicurezza nei luoghi di lavoro è stata sempre la grande assente non percependo mai la materia come prioritaria e a garanzia dei lavoratori, i quali, hanno dovuto pagare sulla pelle i molteplici casi di infortunio e sfortunatamente le centinaia di morti bianche. Più volte richiamati dai sindacati, ma mai opportunamente ascoltati. Una citazione racchiude il senso di questo tema: “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona.” (Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo – Art. 3, 1948). La Sicurezza, dunque, rimane una problematica serissima da affrontare con strumenti più incisivi che vadano a rafforzare le attività delle grandi imprese, come soprattutto delle piccole aziende artigiane, tanto a beneficio dei lavoratori quanto dei datori di lavoro. Deve essere la priorità dell’agenda della Politica e delle Associazioni di categoria, con l’obiettivo di prevenire e contrastare gli incidenti mortali che sono, tuttavia, in costante aumento. Infatti l’INAIL, nei primi dieci mesi del 2020, ha registrato 833 morti sul lavoro, un incremento pari al +21 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Di sicuro, la pandemia Covid-19 ha influito negativamente sui dati e non ha soltanto messo in ginocchio l’economia del Paese ma ha anche seminato morte anche tra i lavoratori. Da gennaio a luglio 2020 gli infortuni sul lavoro in Basilicata sono stati complessivamente 1.832 di cui 1.106 in provincia di Potenza e 726 in quella di Matera ed hanno coinvolto 1.167 uomini e 665 donne. Tra i luoghi di lavoro più esposti all’infortunistica si conferma l’industria e i servizi con 1246 denunce all’Inail (industria “stretta” 289, terziario 255, artigianato 130), seguita da agricoltura (314) e Pubblica Amministrazione (272). Sono numeri che destano “imbarazzo”, che devono porre ad una grande riflessione tutti gli attori di responsabilità chiamati in causa e ad un necessario, e mai più procrastinabile, impegno nei controlli nella misura di evitare finanche le morti. Registriamo ormai un sistema, quasi “ragionieristico” che certifica le disgrazie che colpiscono i lavoratori ed è indispensabile che questi accadimenti abbiano fine, poiché la perdita di una vita umana crea un vuoto incolmabile che colpisce, straziando, l’esistenza di una famiglia e porta il disonore alla Società. In Italia, soprattutto in quella del Mezzogiorno, dove si lavora non più per migliorare la propria esistenza, ma per la sopravvivenza, è assolutamente inaccettabile morire sul posto di lavoro. Non ultima la “morte bianca”, a metà ottobre, di un operaio deceduto cadendo dal tetto di un capannone dismesso, nella zona industriale di Tito (Potenza). Oggi inoltre combattiamo con il “mostro invisibile”, quantomeno ci stiamo provando, abbassando però spesso la guardia. Poca sicurezza sul posto di lavoro (mancato distanziamento, DPI inadeguati e spesso “condivisi”) ed in itinere con il trasporto inefficiente e senza misure fondamentali per la tutela di utenti e autisti. Relativamente ai DPI, sin dai primissimi atti europei emergenziali, a partire dal regolamento di esecuzione (UE) 2020/402 che ha stabilito misure straordinarie per garantire l’approvvigionamento relativo ai DPI, si è inteso garantire tanto il repentino rifornimento di tali dispositivi da parte degli Stati membri, quanto la celerità dei controlli di conformità ai requisiti di sicurezza. In Italia, poi, è stato in particolare l’art. 16 del D.L. 18/20 a prevedere che, per tutti i lavoratori che nello svolgimento della loro attività siano oggettivamente impossibilitati a mantenere la distanza interpersonale di un metro, debbano essere considerati dispositivi di protezione individuale (DPI) le mascherine chirurgiche reperibili in commercio. Dunque, il problema in questo caso, riguarderebbe soprattutto il blocco burocratico inerente alle procedure di certificazione richieste, riguardanti tanto l’INAIL quanto l’ISS, per la produzione interna delle due macro-tipologie di mascherine oggi necessarie: quelle professionali (vale a dire le ormai note Ffp2 e Ffp3) e quelle chirurgiche. A quanto pare, come dimostrano i documenti elaborati dall’ECDC (Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie), la prevenzione e l’utilizzo dei DPI adeguati, non casuali, è alla base del blocco dei contagi e ad oggi sono centinaia le richieste di certificazione, da parte di piccoli artigiani e grandi aziende, alle cui istanze è obbligatorio dare risposta. Il tempo scorre e la Pandemia avanza. Dobbiamo dare, dunque, una forte sterzata ai temi della sicurezza. Abbiamo tutti la responsabilità di porre attuazione, acuendo il senso di responsabilità che è in ciascuno di noi, a quelle che sono le buone prassi sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Serve uno sforzo in più. La UIL promuove con forza una grande sinergia con gli altri sindacati confederali sull’invito al rispetto dei piani di sicurezza. La Politica non può stare alla porta. Perché il lavoratore, non è solo un numero, un voto, ma è anzitutto un essere umano e necessita di tutela e rispetto.